martedì 25 novembre 2014

Lo Chardonnay Lughet
di Bertè e Cordini:
appunti dalla serata
del 3 ottobre 2014

In una fresca serata di inizio ottobre, riaprono le porte del ristorante Prato Gaio per la prima serata di OltreLaStoria della terza stagione. La pompa è magna, va detto: sembra un Natale anticipato, risplendono le luci, 65 ospiti annunciati, tutto esaurito per il secondo excursus con un vino non tradizionalmente oltrepadano. Dopo il Bricco Sturnèl, cabernet sauvignon (con saldo di barbera) dell’azienda Bellaria, ecco il Lughet, chardonnay in purezza delle Cantine Francesco Montagna.

Nato per volere di Natale Bertè, grande appassionato di Chablis, nel 1997, il Lughet beneficia a partire dal 2000 di una parziale fermentazione in barrique non nuove – dettaglio tutt’altro che trascurabile – e, da qualche tempo, anche della mano del “nostro” Matteo Bertè, figlio di Natale nonché ideatore delle serate di OltreLaStoria.

Verifichiamo dunque come si comporta questo Chardonnay alle prese con l’invecchiamento, con i piatti di Daniela Calvi e con una platea di tutto rispetto, visto l’alto tasso di vignaioli presenti. Vediamo di non dimenticarne nessuno: Claudio Bisi con la moglie Sandra, già protagonista di una delle nostre serate; Maria Teresa Quaquarini dell'azienda Francesco Quaquarini; Sandro Torti dell'azienda Pietro Torti; i ragazzi del gruppo Oltrepò in Fermento; Enrica Baldin, moglie di Paolo Verdi dell'azienda Bruno Verdi. Aggiungiamoci alcuni graditi aficionados come la docente ONAV Maria Pia Zavatarelli, Filippo Zaffarana dell’AIS di Pavia, l’ubiquo direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese Emanuele Bottiroli e Danilo Gatti del blog Emicranie.

La serata comincia come di consueto con la presentazione di OltreLaStoria da parte di Roger, seguita dagli interventi di Marzia Cordini, nipote di Natale, e Matteo, che ripercorrono le tappe salienti della storia aziendale, iniziata nel 1974 con l'acquisizione delle storiche Cantine Francesco Montagna di Broni da parte delle famiglie Bertè e Cordini.

La prima portata, crema di zucca, crostino di pane ai cereali, freguglie di aringa affumicata e riduzione all'aceto balsamico, incontra il Lughet 2011. Giovane eppur minerale, fresco, equilibrato, il vino dà l’idea di essere al tempo stesso compiuto e in attesa di una futura evoluzione. Sembra una contraddizione, eppure l’acidità marcata, la trama fitta, le note di agrumi e di frutta gialla che emergono a mano a mano che si scalda fanno presagire un prospero futuro.

Il Lughet 2009 di primo acchito appare più grasso e maturo, anche se col passare dei minuti emerge sempre di più la stretta parentela tra i due nonostante le inevitabili differenze dovute all’annata. La mineralità emerge spiccata, è ampio, ricco, pieno, sapido e sempre caratterizzato da una bella vena acida. Il legno “c’è ma non si vede”, ovvero non se ne avverte la presenza se non indagando a fondo le peculiarità aromatiche – nulla a che fare con certi stucchevoli vaniglioni. Lascio volentieri la conduzione della degustazione – subito dopo aver apprezzato l’eccellente accostamento ai tagliolini con le sarde e gremolata – all’amico Danilo Gatti e al suo accattivante eloquio.

Intanto la squadra di servizio versa nei calici il Lughet 2008: parente stretto del 2009, evoluto, maturo e minerale anch’esso, con in più sentori di idrocarburo, note balsamiche e uno stimolante accenno fumé. Costante la pienezza della bocca e la grinta del nerbo acido, si tratta di un vino variegato, ricco di sfumature e sfaccettature, che ben si sposa con un piatto altrettanto ricco di sfumature qual è il baccala “accomodato”, fritto leggermente e poi passato al forno, contornato di sapori mediterranei e continentali come pomodoro, cipolla, capperi e olive.

Insomma: fin qui tutto bene. Ora si arriva alla parte più azzardata della serata. Mentre Giorgio Liberti presenta i tre formaggi erborinati di vacca, capra e bufala, viene servito lo Chardonnay 2002 (ancora privo all'epoca del nome del cru Lughet). Un vino difficile, e il simbolo di uno netta differenza di vedute fra generazioni: il padre Natale (che lo ha fatto) ormai lo considera a fine carriera, mentre il figlio Matteo ne è entusiasta.

In effetti, un bianco così evoluto e giocato sulla tendenza ossidativa non può mettere tutti d’accordo: però la sua evoluzione è per certi versi sorprendente, così come sorprendenti sono la sua vitalità e la sua freschezza. Appena lo accosta al naso, Danilo Gatti, seduto accanto a me, mormora “fantastico” e pretende di condurre la degustazione anche di quest’annata – come dargli torto. È un piacere per me e per gli astanti sentirlo sciorinare tutte le emozioni - dall'iniziale biscotto di malto al miele alla frutta candita - che questo vino, ancora grasso e integro, ha saputo regalarci.

E dopo il Mufì (vino passito da uve bianche) ad accompagnare la bavarese al latte di mandorle, marroni glassati e crema di castagne, c’è ancora tempo per la contagiosa simpatia di Natale Bertè e per una puntuale (e colta) chiosa di Filippo Zaffarana, grande appassionato di vini di Borgogna, che ci ricorda che il nome dello chardonnay non deriva dall'omonimo paese del Mâconnais, ma dall'ebraico shahar adonay ("la porta di Dio"). I primi Crociati, infatti, al loro ritorno dal Medio Oriente portarono con sé in Francia un vitigno che cresceva sulle colline attorno a Gerusalemme, le cui porte conducevano appunto tutte al Tempio di Dio. E così, sazi anche di cultura, salutiamo con grande soddisfazione anche la quattordicesima serata di OltreLaStoria

Francesco Beghi

Ringraziamo Mauro Rossini per le fotografie

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