lunedì 23 ottobre 2017

27 ottobre 2017:
l'Oltrepò Pavese Rosso
Podere La Borla
dell'azienda Monsupello
di Torricella Verzate


La stagione 2017/2018 di Oltrelastoria riparte dell’azienda Monsupello di Torricella Verzate, con una verticale che non vedrà protagonista uno dei Metodo Classico per i quali la cantina è giustamente famosa - e ai quali abbiamo già dedicato due nostre serate (potete leggere i resoconti qui e qui) -, bensì un rosso fermo da invecchiamento, il Podere La Borla. La storia più che cinquantennale di questo vino, che ho ricostruito in un pomeriggio di ottobre grazie alla disponibilità della famiglia Boatti al completo (Pierangelo, Laura e mamma Carla) e dell’enologo Marco Bertelegni, è inevitabilmente ricca di ricordi affettuosi legati alla figura indimenticabile di Carlo Boatti e di spunti di grande interesse per chi voglia ricostruire le vicende dell’Oltrepò Pavese vinicolo.


Se la storia del Metodo Classico di Monsupello inizia nei primi anni Ottanta, quella del Podere La Borla comincia invece all’inizio degli anni Sessanta, quando Carlo Boatti decide di dedicarsi a tempo pieno alla cantina di famiglia. Nel 1961 Boatti affianca alla Barbera frizzante Magenga un rosso fermo invecchiato in botte grande, scelta inusuale all’epoca in una terra di vini che busciano.


L’ambizione è produrre con le uve tipiche dell’Oltrepò Pavese (barbera, croatina, uva rara) un vino di caratura internazionale. La scelta di Boatti viene presto premiata: il Podere La Borla varca i confini nazionali e sbarca anche oltreoceano, entrando per esempio nella carta del Giambelli’s di New York, ristorante aperto nel 1960 dal vogherese Francesco ‘Frank’ Giambelli e assai celebre all’epoca.


Anche in Italia non mancano gli estimatori: il vino è apprezzato da Luigi Veronelli che, dopo aver visitato l’azienda nella seconda metà degli anni Sessanta, regala ai Boatti una litografia di se stesso nei panni della Gioconda (opera del pittore bergamasco Mario Donizetti), accompagnandola con una dedica tanto ironica quanto lusinghiera: “Se avessi bevuto un sorso del Podere La Borla, avrei anche sorriso”. E i sorrisi non mancano il 25 ottobre 1969, quando il Podere La Borla è sulla tavola di nozze di Carlo Boatti e Carla Dellera.


Questa lunga storia, che nelle righe sopra ho solo accennato, origina dal vigneto La Borla, il cui nome allude alla pendenza che può far borlare (lombardo per “cadere”). Posto su terreni limoso-argillosi sopra la sede dell'azienda ed esposto a ovest, era un vecchio vigneto acquistato dai Boatti nel 1914 e da sempre coltivato a barbera e croatina, con qualche filare di altre varietà (uva rara). Nel 2012 il vigneto è reimpiantato a pinot nero e le uve di base del Podere La Borla iniziano a essere allora raccolte nel contiguo vigneto Monsupello, il vigneto storico che diede il nome all’azienda, reimpiantato nel 2008 a barbera e croatina.


Oggi, dunque, le uve del Podere La Borla provengono da due vigneti: barbera (circa 65%) e croatina (circa 30%) dal vigneto Monsupello e pinot nero (circa 5%) dal vigneto La Borla. Le uve sono raccolte a mano in cassetta e vinificate separatamente. Dopo il diraspamento, il mosto viene lasciato macerare sulle bucce a freddo per 7 giorni per estrarre colore e aroma. Questa macerazione avviene in vasche di cemento con 2 rimontaggi al giorno ed è seguita dalla fermentazione alcolica, fatta partire con lieviti selezionati. Alla svinatura, solo il vino fiore è avviato alle vasche in acciaio prima, e poi, dopo 2/3 mesi, alle barrique (solo di secondo o terzo passaggio), nelle quali sosta per un periodo minimo di 20 mesi.


Ecco, infine, il menu proposto da Giorgio Liberti e Daniela Calvi.

Venerdì 27 ottobre 2017 - Ore 20.30
L'Oltrepò Pavese Rosso Podere La Borla di Monsupello:
verticale di cinque annate


Zuppetta di castagne e borlotti
con funghi porcini freschi e spuma di caprino del Boscasso
Provincia di Pavia IGP Rosso Podere La Borla 2013

Ravioli di cotechino e taleggio
con crema di mais e lenticchie croccanti
Oltrepò Pavese Rosso DOC Podere La Borla 2010

Surbir di agnolotti
Oltrepò Pavese Rosso DOC Podere La Borla 2007

Guancia di manzo stufata al vino rosso
con polenta di farina gialla macinata a pietra del Mulino Bruciamonti
Oltrepò Pavese Rosso DOC Podere La Borla 2001
Oltrepò Pavese Rosso DOC Podere La Borla 1993

Gelato di tè al bergamotto

La serata è proposta a 50 euro (tutto compreso).
I posti sono limitati e la prenotazione è indispensabile.
Per informazioni e prenotazioni: 0385.99726 (Ristorante Prato Gaio).

OltreLaStoria è un progetto di Matteo BertéFrancesco BeghiGiorgio Liberti e Roger Marchi.

Roger Marchi

venerdì 17 febbraio 2017

Due cru di Dolcetto di Ovada:
Le Olive de La Vigna dei Caccia
e Vigneto Ninan di Rossi Contini:
appunti dalla serata del 15/04/2016

Ebbene sì: dopo venti serate dedicate all’Oltrepò Pavese, OltreLaStoria ha deciso per il ventunesimo appuntamento di scollinare e andare fuori zona, anzi fuori regione. In realtà, si è trattato di un’escursione piuttosto breve e pure abbastanza coerente dal punto di vista territoriale, dato che ci siamo spostati appena al di là del confine con il Piemonte, nelle colline dell’alessandrino, dove nasce il Dolcetto di Ovada. La sollecitazione è venuta dall'amico Giuliano Boni di Vinidea, e questo ci ha permesso di andare a conoscere più da vicino una denominazione inevitabilmente schiacciata dalla notorietà di tanti altri vini rossi piemontesi, e dello stesso Dolcetto prodotto in zone più note come le Langhe.


I vini prodotti nell’ovadese da uva dolcetto rientrano in due denominazioni: la DOC Dolcetto di Ovada, istituita nel 1972, e la DOCG Dolcetto di Ovada Superiore (o Ovada), ottenuta nel 2008 e riservata ai vini con invecchiamento minimo di 30 mesi e rese di produzione più basse. La nascita della DOCG segna la volontà di una parte delle aziende ovadesi di rovesciare agli occhi del pubblico l’immagine di “vinelli di pronta beva, non svettanti, spesso raso terra, fatte poche eccezioni”, e affermare invece le peculiari qualità enoiche del Dolcetto di Ovada (se lavorato con la dovuta cura) e la sua vocazione all’invecchiamento. Questa dunque la (complicata) missione del Consorzio dell'Ovada DOCG: far diventare un punto di riferimento dell’enologia piemontese un vino attualmente considerato nelle sue migliori espressioni un outsider. E anche noi di OltreLaStoria contribuiamo volentieri all’impresa, ospitando al Prato Gaio l'azienda La Vigna dei Caccia con il suo Le Olive e l'azienda Rossi Contini con il Vigneto Ninan, protagonista della nostra verticale.


La serata inizia dal cru Le Olive, ora di proprietà dell’azienda La Vigna dei Caccia, ma celebre in passato per essere stato coltivato da quel personaggio poliedrico e straordinario, caro a Luigi Veronelli e Mario Soldati, che fu Pino Ratto, farmacista, jazzista e vignaiolo protagonista sulla scena ovadese per oltre trent’anni.


Questo Dolcetto - alla sua seconda vendemmia - ora è un po’ rustico, sincero, tra l’altro proveniente da un’annata non certo felice, ma Pietro Caccia Dominioni, che ha recuperato lo storico vigneto, ha l’entusiasmo giusto - e il supporto di Annalysa Rossi Contini – per ridargli il lustro che merita.


La storia di Annalysa Rossi Contini inizia invece nel 1989 con l'acquisto della vigna Ninan sulla collina di San Lorenzo a Ovada, unanimemente considerata uno dei migliori cru della zona. Da subito, l'azienda Rossi Contini, gestita da Annalysa insieme al marito Fabio, ha scommesso sulla vocazione all'invecchiamento dell'Ovada DOCG: scommessa consapevole, e vinta, come hanno poi testimoniato le numerose verticali di Vigneto Ninan che si sono tenute negli anni.


Scopriamo anche noi, dunque, il Ninan, che nasce da una vigna di oltre 40 anni, su terra marnosa con esposizione sud e riposa per un minimo di 18 mesi in botti di rovere da 25 ettolitri per poi affinarsi almeno altri 12 mesi in bottiglia. Il Vigneto Ninan 2011 si apre lentamente e si rivela pastoso, profondo, profumato di cacao, frutti di bosco, liquirizia. Una bella sfida per il salame di testa e la focaccia di ciccioli serviti come antipasto. Nella degustazione in azienda avevamo assaggiato anche l’annata 2012, ma ci era sembrata ancora troppo giovane e ruvida, a dimostrazione del fatto che questo Dolcetto è un vino dalla lenta e lunga evoluzione.


Il Vigneto Ninan 2010 ha ancora tannini esuberanti, pur di fine grana, è molto profumato di visciola e amarena, è vibrante, teso, minerale; c’è la parentela con il precedente ma c’è anche la differenza fra le due vendemmie. Su questo vino più fresco e spigoloso abbiamo azzardato un abbinamento con crema di piselli al profumo di basilico con crostini di pane al burro e freguglie di aringa affumicata che abbiamo trovato soddisfacente.


Salto netto di annata col Vigneto Ninan 2007: sorprendentemente fragrante a quasi dieci anni dalla vendemmia, ha colore più chiaro, la mineralità spiccata data dai terreni bianchi, le spezie, la marasca, la violetta, una complessità ampia e matura e sensazioni quasi piccanti. Un vino che quasi prevarica il risotto con ragù di coniglio preparato da Daniela Calvi con la consueta maestria.


Ancora indietro nel tempo ed ecco il Vigneto Ninan 2003, annata calda, vino evoluto, frutto maturo, una lieve nota di ossidazione che non disturba più di tanto visto il nerbo inaspettato che sostiene l’intelaiatura; alcol, struttura, un Dolcetto certo anomalo ma molto interessante, degno compagno della lepre in dolceforte che conclude la parte godereccio-didattica della serata. Il guazzetto di fragole con gelato e scaglie di cioccolato è un vizio supplementare per i fortunati convenuti.

Francesco Beghi

A causa dell'assenza (giustificata) del nostro Mauro Rossini, abbiamo utilizzato fotografie presenti sui seguenti siti: World Wine Passion, La Terra Trema, pagina Facebook dell'azienda La Vigna dei Caccia, sito dell'azienda Rossi Contini e Vivino. Grazie, infine, a Fabio Contini per la collaborazione.

lunedì 3 ottobre 2016

Il Riesling Gli Orti
di Frecciarossa:
appunti dalla serata
del 27/05/2016



L’elemento fondante delle serate di OltreLaStoria è l’andare indietro nel tempo, andando a scavare nelle cantine delle aziende che hanno sì una storia ma anche, necessariamente, uno storico (purtroppo le due cose non vanno sempre di pari passo). E talvolta, in questo storico, ovvero nelle bottiglie di vecchie annate saggiamente conservate come si deve, si pescano autentiche perle. D’altra parte, il nostro scopo è proprio quello di smentire chi afferma che l’Oltrepò Pavese è terra di soli vini giovani, frizzanti, di pronta beva. Quando ciò avviene con i vini bianchi, oltretutto, la faccenda si fa ancora più interessante, dato che in Italia non c’è una cultura del vino bianco da invecchiamento come, per esempio, in Francia, Germania, Austria e in taluni Paesi dell’Europa Orientale.


Questo è successo con Frecciarossa, azienda già protagonista di una serata con il suo pluripremiato Pinot Nero Giorgio Odero, che però vanta anche una solida tradizione per quanto riguarda la coltivazione del riesling renano, ovvero di quello che per molti – me compreso – è il vitigno bianco più affascinante in assoluto.


Potete leggere qui la storia completa raccontata da Roger Marchi. Undici annate di Riesling assaggiate in azienda, retrocedendo fino a 25 anni fa, non è cosa che avviene tutti i giorni. E non semplice la scelta delle quattro annate da presentare per la serata.


La serata, appunto. A mano a mano che arrivano gli ospiti, si inizia con un aperitivo, I Moschettieri, affilato Metodo Classico Pas Dosé lui, invece, messo in produzione e in commercio da pochi anni. Abbiamo così il piacere di ritrovare Antonio Morra del Corriere della Sera e Paolo Camozzi di Slow Wine, e di conoscere Alessio Turazza del Gambero Rosso, il delegato AIS di Milano Hosam Eldin Abou Eleyoun e Amalia della Gatta, addetta alle pubbliche relazioni di AIS Milano. Non ha potuto essere con noi, invece, Armando Castagno che ha però degustato successivamente in azienda 16 annate del Riesling Gli Orti, descritte splendidamente in questo articolo apparso su ViniPlus di Lombardia nel settembre 2016.


Ci si accomoda a tavola e, dopo le presentazioni di rito, con le generazioni della famiglia Odero, da Margherita a Valeria, a narrare le vicende dell’azienda e del riesling nello specifico, è subito duls in brüsc, uno dei capisaldi della cucina del Prato Gaio. Ad accompagnarlo Gli Orti 2013, ricco, opulento, ancora esuberante di giovinezza, con le sue note di erbette di campo, frutti tropicali, agrumi, frutta bianca e richiami floreali. Un abbinamento che regge, considerata la natura agrodolce del piatto.


La seconda annata proposta – Gli Orti 2011 – non è dissimile dalla precedente per quanto riguarda gli aromi di base, che ritroviamo ovviamente più evoluti: dal colore limpido e dorato, tornano le erbe aromatiche, la frutta tropicale quasi candita, gli agrumi, comincia ad avere accenni di idrocarburo mentre in bocca è solido, corposo, materico, figlio dell’annata calda e regolare che non gli ha tolto però troppo nerbo. Un bel compagno per la crema di cipolle bianche con baccalà, capperi e salsa di acciughe, piatto dagli aromi variegati così come il vino.


Proseguiamo con Gli Orti 2008, una versione che, nonostante gli otto anni di età, mantiene al naso la freschezza degli agrumi e del sottofondo balsamico, integrati da sentori più evoluti di fieno e miele; sapidità spiccata all’attacco in bocca, pienezza centrale e buona persistenza finale, forse fin troppo sostenuto per un piatto abbastanza delicato come il risotto alle erbe di campo.


La faraona disossata ripiena – un altro classico più volte proposto nelle nostre serate – viene servita con Gli Orti 2002, la prima annata a chiamarsi così, che vide inoltre il restyling dell’etichetta. Annata ovunque ricordata per il clima freddo e piovoso, che noi abbiamo spesso proposto nel corso delle nostre serate proprio per sfatarne la fama di annata “disgraziata”; certo difficile da gestire per i vignaioli, ma sorprendente per i risultati raggiunti in Oltrepò e per la inaspettata longevità che dimostrano certe bottiglie. Non fa eccezione questo Riesling, maturo, profumato di nocciola, salvia, ancora le erbe aromatiche a fare da fili conduttore, e poi frutta candita, sapidità e note più marcatamente minerali che idrocarburiche.



Come extra, prima di chiudere in bellezza con la zuppetta di ananas profumata allo zenzero, un salto indietro nel tempo che ha quasi dell’incredibile: il Riesling 1990. A Cristiano Garella, giovane enologo della squadra di Frecciarossa, l'onore di aprire tre delle pochissime le bottiglie rimaste: il pepe bianco e la salvia al primo naso, poi il minerale e le erbe, il muschio, come sassi levigati di un ruscello di montagna, la bocca ancora appagante, sapida, viva, un prodigio di longevità.

Francesco Beghi
Ringraziamo Mauro Rossini per le fotografie